Il fascino insostenibile del pulsante di autodistruzione

Il pulsante dell’autodistruzione è una cosa affascinante. 
Se lo hanno creato l’idea è che prima o poi andrebbe usato. La fregatura è se in un veicolo c’è il pulsante di autodistruzione però mancano le capsule di salvataggio.

Una soluzione al paradosso di Fermi (se l’universo brulica di alieni dove sono tutti quanti?) è che ogni civiltà evoluta arrivi a premere ad un certo punto il pulsante di autodistruzione.

Le ipotesi contemplate da questa ipotesi sono varie: creazione di automi replicanti nanotecnologici che scappano dal controllo oppure vengono rilasciati nell’atmosfera da uno soltanto dei “civili” e trasformano l’intero pianeta in una poltiglia grigia fatta di automi replicanti nanotecnologici che divorano se stessi finito di divorare il pianeta. O sonde che vengono lanciate nello spazio per colonizzarlo o sfruttarne le risorse e mandarle al pianeta di origine che però subiscono mutazioni e quando ritornano al pianeta di origine non lo riconoscono. Oppure singolarità tecnologiche, vale a dire sviluppo di tecnologie in grado di scatenare in vario modo un’apocalisse artificiale.

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Gli esseri umani sembrano destinati ad un finale di questo genere. La popolazione dell’Isola di Pasqua distrusse fino all’ultimo albero presente su un’isola dispersa in mezzo all’Oceano. L’isola si trasformò in una prigione senza legno per fabbricare case, imbarcazioni con cui andare a pesca, legna da ardere, eccetera. In quel caso le generazioni rimaste sopravvissero a stento.

Sta succedendo la stessa cosa. Potrebbe finire meglio. Stiamo a vedere se ci sono delle capsule di salvataggio. Per certi versi è una situazione eccitante.

Il White Project è come il primo istante dopo essersi accorti di aver premuto il pulsante di auto-distruzione.

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